Dic 19, 2008
Appello per una nuova internazionale
Politici e giornalisti cianciano,
tentando di infangare il nostro movimento con la loro ingannevole
razionalità. Noi ci rivolteremmo per la corruzione del governo, o
perché vorremmo da loro più soldi e più lavoro.
Invece, se attacchiamo le banche è
perché riconosciamo i soldi come una delle cause centrali della
nostra tristezza, se spacchiamo vetrine di negozi non lo facciamo
perché la vita è cara ma perché la mercificazione ci
impedisce di vivere. Se attacchiamo la feccia poliziesca, non è solo
per vendicare i nostri compagni morti, ma perché tra il mondo in cui
viviamo e quello che desideriamo sarà sempre un ostacolo.
Sappiamo essere arrivato per noi il
momento di pensare strategicamente. In questi tempi di imperialismo,
sappiamo che la condizione per una insorgenza vittoriosa è che
questa si espanda, per lo meno, ad un livello europeo. In questi
ultimi anni abbiamo visto e abbiamo imparato: i contro vertici
mondiali, le rivolte degli studenti e degli abitanti delle periferie
in Francia, la lotta contro l’Alta Velocità in Italia, la comune di
Oaxaca, gli scontri di Montreal, l’offensiva in difesa
dell’occupazione anarchica Ungdomshuset a Copenhagen, la rivolta in
occasione della convention americana dei Repubblicani, e la lista
continua. Nati nella catastrofe, siamo i figli di tutte le crisi:
politica, sociale, economica, ecologica. Questo mondo è a un vicolo
cieco, lo sappiamo. C’è da esser folli ad aggrapparsi alle sue
rovine. Bisogna essere in grado di auto-organizzarsi. C’è un ovvietà
nel rifiuto totale di partiti politici e organizzazioni: sono parte
del vecchio mondo. Siamo i figli "guasti" di questa società
e da essa non vogliamo niente. Ecco il peccato capitale che non ci
perdoneranno mai. Dietro le maschere nere, siamo i vostri figli. E ci
stiamo organizzando. Non faremmo tanti sforzi per distruggere la
materialità di questo mondo, le sue banche, i supermercati, le
stazioni di polizia, se non sapessimo che così facendo attentiamo
alla sua essenza profonda, ai suoi ideali, alle sue idee e alla sua
oggettività.
I media avrebbero descritto gli eventi
della settimana passata come espressione di nichilismo. Quello che
non capiscono è che proprio nell’azione di assaltare e disturbare
questa realtà, noi viviamo una più alta forma di comunità, di
condivisione, una più alta forma di organizzazione, gioiosa e
spontanea, che pone le basi per un mondo diverso. Qualcuno potrebbe
dire che proprio nella semplice distruzione la nostra rivolta trovi
il suo limite. Questo potrebbe essere vero se, tolti gli scontri, noi
non avessimo creato l’organizzazione necessaria a un movimento di
lungo termine: depositi riforniti da regolare saccheggio, infermerie
per curare i nostri feriti, i mezzi per produrre i nostri giornali e
la nostra radio. Così come liberiamo il territorio dal dominio dello
Stato e della sua polizia, dobbiamo anche occuparlo, per riempirlo e
trasformarne gli usi, così che possa servire al movimento. Così il
movimento non smette di crescere. In tutta Europa, i governi
vacillano. Sicuramente ciò che li disturba di più non sono gli
scontri riproducibili altrove, ma proprio la possibilità che i
giovani occidentali ritrovino una causa comune e insorgano
all’unisono per dare a questa società il colpo finale.
Questa
chiamata è per tutti quelli all’ascolto: da Berlino a Madrid, da
Londra a Tarnac, tutto diventa possibile. La solidarietà deve
diventare complicità. Il confronto deve espandersi.
Le comuni
devono costituirsi. Così che la situazione non torni più alla
normalità. Così che le idee e le pratiche che ci uniscono diventino
legami effettivi. Così che possiamo rimanere ingovernabili.
Saluti
rivoluzionari a tutti i compagni nel mondo.
A tutti i prigionieri, vi
tireremo fuori!