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annuncio del Politecnico occupato di Atene

Annuncio del Politecnico occupato di Atene (24.12.2008)
L’occupazione del Politecnico è terminata a mezzanotte del 24 Dicembre– La lotta continua

Subito dopo l’assassinio di Alexandros Grigoropoulos
da parte della guardia speciale di polizia Ep. Kokoneas e i primi
scontri per le strade di Exarchia, il Politecnico è stato occupato e
trasformato nel punto focale per l’espressione della rabbia sociale.
Spazio storicamente e simbolicamente legato alla viva memoria dei
ribelli e di una grossa parte della società alla lotta contro
l’Autorità – dal periodo della dittatura fino alla democrazia
totalitaria contemporanea -, il Politecnico è diventato un luogo dove
centinaia di persone spontaneamente si riuniscono: compagni, giovani e
lavoratori, disoccupati, adolescenti, immigrati e studenti…

Le lotte contro le forze di repressione con le ardenti barricate
nelle strade adiacenti sono diventate la scintilla di una rivolta che
si è propagata in tutta la città con manifestazioni spontanee,
l’occupazione dell’Università di Economia e della Scuola di Legge, con
attacchi contro bersagli statali e capitalistici nel centro e nella
periferia di Atene e in molte città del Paese. I giorni seguenti, con
le manifestazioni di migliaia di persone confluite in sommosse e
attacchi contro le banche, ministeri e grandi magazzini, ragazzini che
assediano e assaltano le stazioni di polizia, la sommossa alla prigione
di Koridallos e al Parlamento, la rivolta è diventata generale; questa
rivolta innescata dall’assassinio di A. Grigoropoulos e esplosa nella
reazione immediata di centinaia di compagni all’estesa violenza di
Stato, ispirando azioni di rabbia e solidarietà oltre i confini, in
tutto il mondo. Questa rivolta che fremeva sotto le condizioni di un
attacco generalizzato dello Stato e dei padroni contro la società,
sempre più forte nella realtà di una quotidiana morte della libertà e
della dignità, riserva per le persone oppresse al crescere
dell’esclusione, della povertà, dello sfruttamento,della repressione e
del controllo. Questa rivolta che assiduamente si “preparava”, anche
nei tempi oscuri del terrorismo fascista e di Stato, in ogni piccolo o
grande gesto di resistenza contro la sottomissione o la resa, lasciando
aperta la strada affinché le persone si potessero incontrare per
strada, così, com’è accaduto in questi giorni.
In questa realtà sociale esplosiva, il Politecnico occupato è diventato
un punto di riferimento per il confronto diretto con lo Stato, in tutte
le forme e con tutti i mezzi possibili, attraverso eventi
insurrezionali continuati che hanno dato alle fiamme l’ordine e la
sicurezza dei padroni, facendo a pezzi la falsa immagine di un consenso
sociale alle loro intenzioni omicide.
E’ diventato un luogo dove soggetti ribelli sociali e politici si sono
incontrati e influenzati vicendevolmente, attraverso le assemblee
generali e la loro presenza quotidiana all’occupazione.
Ha funzionato come base per una contro-informazione, attraverso
comunicati e manifesti, il blog e la stazione radio, e con il sistema
PA per spedire messaggi e notizie sulle novità della rivolta in atto.
Ed ha anche dato vita ad iniziative politiche di resistenza, come
l’appello dall’assemblea del Politecnico occupato per una giornata globale di azioni il 20 Dicembre
– sfociata in una mobilitazione coordinata in più di 50 città in Paesi
differenti, e alla quale gli occupanti del Politecnico hanno
partecipato organizzando una dimostrazione nella piazza dove A.
Grigoropoulos è stato assassinato -, come il concerto tenutosi il 22
Dicembre in solidarietà e supporto finanziario agli ostaggi della
rivolta, e l’appello per la partecipazione alla manifestazione in
solidarietà degli arrestati che è stata organizzata dai compagni, parte
dell’assemblea del GSEE (Confederazione Generale dei Lavoratori)
occupato.

Come punto fermo, per 18 giorni, dell’estasa rivolta, il Politecnico
occupato ha costituito un appello continuo all’insubordinazione delle
persone che resistono in tutto il mondo, ed un segno permanente di
solidarietà con gli ostaggi presi dallo Stato durante la rivolta. E’
diventato il territorio che abbiamo usato per diffondere il messaggio
di solidarietà fra oppressi, di auto-organizzazione e di contrattacco
sociale e di classe contro l’Autorità mondiale, i suoi meccanismi e i
suoi simboli. Questi elementi e valori della lotta hanno creato il
terreno per far sì che gli oppressi si incontrassero nella ribellione,
armassero le loro coscienze e, forse per la prima volta, diventasse
così impropriamente estesa attraverso così tante persone di diversa età
e nazionalità; Persone con le quali anarchici e anti-autoritari hanno
condiviso la lotta, la stessa rabbia contro chi saccheggia le nostre
vite e, molto spesso, la stessa visione per un mondo di libertà,
uguaglianza e solidarietà.
Per questa ragione, la repressione non si è solamente espressa nella
forma della brutalità poliziesca, negli arresti e nell’imprigionamento
dei manifestanti, ma anche con un attacco ideologico intenso lanciato
da tutti i fronti del sistema politico che ha visto tremare le sue
fondamenta quando la repressione, sulla quale si radica, non solo non
era capace di contenere i moti della rivolta, ma, al contrario, ne è
stata la sua causa prima.
Questo attacco ideologico ha mirato in maniera selettiva agli
anarchici, come parte politica e non negoziabile della rivolta,
precisamente a causa dell’impatto che le loro parole e azioni avevano,
e per il pericolo che si realizza per lo Stato quando essi comunicano e
si coordinano con migliaia di oppressi. In questo contesto, c’è stato
uno sforzo isterico nel dividere i rivoltosi in “bravi ragazzi” da una
parte, “cattivi incappucciati anarchici – ‘koukouloforoi’” o “immigrati
saccheggiatori” dall’altra, così come il buon vecchio mito dei
provocatori, al fine di manipolare la rabbia per l’assassinio,di
esaurire l’esplosione sociale, criminalizzare, isolare e frantumare i
punti fermi di riferimento della rivolta [Questa comunque è la stessa
retorica di repressione che ha condotto all’omicidio di A.
Grigoropoulos, poiché responsabile nel designare uno specifico ambiente
politico e sociale, spazi e persone come “nemici all’interno” sui quali
la violenza statale “legittimamente” deve essere imposta]. In questo
sforzo realizzato dallo Stato, il bersaglio continuo puntato sul
Politecnico era applicato su base quotidiana, con dichiarazioni da
parte dei politicanti e campagne diffamanti perpetuate dai mass media.
Dopo le ore di scontri a Exarchia e nei dintorni del Politecnico
durante la notte del 20 Dicembre, lo Stato, sotto le spoglie del
pubblico querelante, ha minacciato di procedere con un’incursione di
polizia, dopo aver sospeso l’accademico asilo politico nell’università,
nonostante i disaccordi delle autorità universitarie, ai fini di
sopprimere la rivolta, attaccando così uno dei primi posti dai quali ha
preso avvio.
Le loro intenzioni sono state sconfitte dal rifiuto degli occupanti di
obbedire a qualsiasi ultimatum, dalla determinazione nel difendere
questo territorio politico e sociale come parte della rivolta, e
dall’appello aperto a partecipare e supportare l’occupazione con la
presenza e procedere all’incontro organizzato in solidarietà con i
prigionieri il 22 dicembre, che ha raccolto centinaia di persone al
Politecnico.
La minaccia dello sfratto immediato è ritornata più forte il giorno
successivo, il 23 Dicembre, quando, durante l’assemblea si discuteva
sul termine dell’occupazione, eravamo informati da personaggi politici
e accademici che il Ministro dell’Interno e la polizia domandavano la
nostra uscita immediata dal campus, altrimenti i poliziotti avrebbero
invaso. La risposta dagli occupanti è stata che il Politecnico non
apparteneva né al Ministero né alla polizia e nessuno dei due poteva
farci arrendere; appartiene alle persone della rivolta che decidono
cosa fare seguendo solo i criteri del movimento e non accettano ricatti
o ultimatum da assassini. In questo modo l’occupazione del Politecnico
siè prolungata di un giorno e ha chiamato alla manifestazione in
solidarietà con gli arrestati che ha avuto luogo nel centro di Atene.
Nessun progetto repressivo o attacco ideologico riesce o riuscirà a
riscattare un ritorno alla normalità e ad imporre una pacificazione
sociale e di classe.
Niente è più come prima! La vittoria sulla paura, sull’isolamento e le
divisioni sociali dominanti, ha permesso a migliaia di ragazzi, insieme
con donne e uomini di qualsiasi età, rifugiati e immigrati, lavoratori
e disoccupati di stare insieme per le strade e combattendo i tiranni
della nostra vita, dignità e libertà, dietro alle barricate. E questa è
una realtà che illumina con le sue fiamme il futuro della rivolta,
entrambe l’intensità e la profondità, fino all’assoluta sovversione dei
padroni del mondo. Perché abbiamo gridato in ogni modo che questi
giorni appartengono ad Alexis, a Michalis Kaltezas, a Carlo Giuliani, a
Christoforos Marinos, a Michalis Prekas, a Maria Koulouri e a tutti i
compagni uccisi dagli assassini uniformati di Stato; non sono però
giorni che appartengono alla morte, ma alla VITA! Alla vita che
fiorisce nella rivolta, nelle barricate, nella rivolta che continua.

Terminando l’occupazione del Politecnico dopo 18 giorni, mandiamo la
nostra più calda solidarietà a tutte le persone che sono state parte
della rivolta in diversi modi, non solo in Grecia ma anche in molti
paesi d’Europa, del Sud e Nord America, Asia e Australia – Nuova
Zelanda. A tutti coloro che abbiamo incontrato e con i quali
continueremo a stare insieme, lottando per la liberazione dei
prigionieri di questa rivolta, ma anche perché continui fino alla
liberazione sociale globale. Per un mondo senza padroni e schiavi,
senza polizia e armi, senza confini e prigioni.

MORTE ALLO STATO – LUNGA VITA ALL’ANARCHIA!

LA LOTTA CONTINUA

Facciamo appello per un’assemblea aperta che avrà luogo al
Politecnico Sabato 27 Dicembre alle 16.00, per l’organizzazione della
solidarietà agli arrestati, che è stata chiamata dai compagni
dell’assemblea del GSEE occupato.

Il Politecnico Occupato 12.24.2008

Category: Generale

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