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Comunicato Confedereazione Sindacale greca occupata (17 dicembre 2008)


mercoledi’ 17 dicembre

O SAREMO NOI A SCRIVERE LA STORIA,

O LA STORIA SARÀ SCRITTA SENZA DI NOI

Noi
operai, impiegati, disoccupati, lavoratori precari, greci o immigrati,
che non siamo spettatori e abbiamo partecipato dal primo momento alle
manifestazioni, agli scontri con la polizia, alle occupazioni nel
centro e le periferie d’Atene; noi che molte volte abbiamo dovuto
lasciare il nostro posto di lavoro e i nostri impegni quotidiani per
scendere in piazza fianco a fianco con gli alunni, gli studenti e gli
altri proletari in lotta,
abbiamo deciso di occupare la sede della Confederazione Generale dei Lavoratori della Grecia (CGLG) per:

    Trasformarla in un luogo di libera espressione e d’incontro dei lavoratori;

    Far
    cadere il mito creato dai media, secondo il quale i lavoratori erano e sono assenti dagli scontri e che la rabbia manifestata
    tutti questi giorni riguarda solo 500 “anarchici” e “hooligans” e
    frottole del genere, mentre negli schermi televisivi i lavoratori erano
    presenti come le vittime degli scontri, nello stesso momento in cui i
    licenziamenti di migliaia di lavoratori provocati dalla crisi
    capitalista in Grecia e in tutto il mondo vengono presentati come
    qualcosa di “naturale”.

    Denunciare e portare alla luce il ruolo della burocrazia sindacale nel
    minare la rivolta e non solo questa. La CGLC e tutto l’apparato
    burocratico che la appoggia, da decenni mina le lotte dei lavoratori;
    negoziano la nostra forza-lavoro, prolungando il regime dello
    sfruttamento e della schiavitù salariata. È esemplare il suo
    atteggiamento mercoledì scorso (10 dicembre) quando hanno annullato il
    corteo programmato per quel giorno e si è limitata ad un breve
    concentramento in piazza Sintagma, cercando di isolare i manifestanti dal “virus” della ribellione.

    Perché
    vogliamo aprire per la prima volta ai lavoratori – come conseguenza
    della “frattura” nel sociale che ha prodotto questa rivolta – questa sede costruita con i nostri contributi e dalla quale siamo
    esclusi. Per tutti questi anni abbiamo affidato il nostro destino a
    “salvatori” di ogni genere fino al punto di perdere ogni traccia di
    dignità. In quanto lavoratori dobbiamo assumere le nostre
    responsabilità invece di delegare le nostre speranze a leaderini
    “illuminati” e “abili” rappresentanti. Dobbiamo prendere la parola in
    prima persona, incontrarci tra di noi, parlare e decidere per agire
    contro l’attacco su tutti i fronti che stiamo subendo. Creare forme di
    “resistenza collettiva” dal basso costituisce l’unica soluzione.

    Promuovere
    l’idea dell’autorganizzazione e della solidarietà nei posti di lavoro;
    dei comitati di lotta e delle iniziative collettive dal basso, abolendo
    le burocrazie sindacali.

Per
anni e anni abbiamo dovuto sopportare la miseria, il ruffianesimo e i
soprusi nei posti di lavoro. Ci siamo abituati a contare i nostri i
colleghi morti, la cui morte viene etichettata come “incidenti sul
lavoro”. Ci siamo abituati a disinteressarci degli immigrati – i nostri
fratelli in lotta – che vengono assassinati. Ci siamo
stufati di vivere con l’ansia di come procurarci il salario, i
contributi e una pensione che sta diventando sempre di più un miraggio.

Nello
stesso modo in cui stiamo lottando per non abbandonare la nostra vita
nelle mani dei padroni e dei burocrati, non abbandoneremo mai nelle
mani dello Stato e dell’apparato giudiziario i rivoltosi arrestati.

RILASCIO IMMEDIATO DEGLI ARRESTATI E CHIUSURA DEI PROCEDIMENTI PENALI CONTRO DI LORO.

AUTORGANIZZAZIONE DEI LAVORATORI

SCIOPERO GENERALE

Assemblea Operaia nella Sede “Liberata” della CGLG

Assemblea Generale di Operai in Rivolta

L’ (auto)distruzione, è la creazione

La sera del 6/12 non si potrà dimenticare tanto facilmente.

E questo non
perchè l’assassinio di Alexis è un fatto fuori dal comune, incredibile.

La violenza dello stato può ben provare ad organizzarsi in versioni
dominatrici di volta in volta più produttive, ma alla fine essa dovrà
costantemente tornare sui propri passi, verso una forma di violenza
dispendiosa, conservando nella sua struttura un (extra) stato che non è
in grado d’imporre l’ordine secondo i nuovi dettami della disciplina
modernizzata, fondata sulla sorveglianza e sul controllo dei corpi. In
alcuni casi esso opta per l’eliminazione dei corpi che disobbediscono,
pagando poi il prezzo politico che consegue da questa scelta.

 

Ogni volta che uno sbirro grida: “Ehi, tu!”, il soggetto al quale
s’indirizza quest’ordine e che gira il proprio corpo verso la direzione
del potere, verso il richiamo dello sbirro, è per definizione
innocente; se esso però risponde alla voce che lo chiama esso produce
potere

Il soggetto che non è stato reso abbastanza docile e
disobbedisce, costituisce un caso dove il potere perde il suo
significato e diviene qualche cosa d’altro, una violazione che si deve
regolare (uno sgarro), anche se questo momento di disobbedienza si
svolge a bassa voce, anche se questa persona non ha lanciato una
bottiglia in fiamme verso la macchina degli sbirri ma una bottiglia di
plastica.

Quando l’orgoglio maschile dello sbirro-fascista viene offeso, esso si
può sentire anche in diritto di uccidere per proteggere – questa la sua
pretesa e la sua giustificazione – i suoi figli e la propria famiglia. In
altre parole, l’ordine morale e la dominazione maschile (la forma più
caratteristica di violenza simbolica e materiale instaurata dal regime
sessuale) hanno reso l’assassinio di Alexis possibile, ne sono stati la
molla, essi hanno prodotto la loro ‘verità’ e voilà, esso ha avuto luogo.
Con l’assassinio, arrivati al limite tragico d’una morte che dà un senso
a vite dalla flebile esistenza, ha avuto anche luogo la rivolta, questo
incredibile, imprevisto rovesciamento dei ritmi sociali, questa rottura
del tempo e dello spazio abituali, che destruttura le strutture
esistenti, che rende meno definito il confine tra ciò che esiste già e
quello che non c’è ancora.

Un momento di gioia e di gioco, di paura, di passione e di rabbia, di
confusione e di coscienza, dinamico e carico di promesse. Un momento
che, tuttavia, dovrà scegliere se aver timore di se stesso, e quindi
tenersi aggrappato a quegli automatismi che lo hanno creato, oppure
ripudiare senza posa sé stesso per arrivare a trasformarsi
continuamente, per non correre il rischio di approdare, alla fine, nel
determinismo delle rivolte soffocate nella normalità, delle rivolte che
si sono difese, e che alla fine sono diventate esse stesse un altro tipo
di potere.

 

Ma la rivolta come è potuta diventare possibile? Quale diritto gli
insorti si sono rivendicati, proprio in questo momento, in questo punto,
per questo corpo assassinato? Come è stato socializzato questo simbolo?
Alexis era ‘il nostro Alexis’, non era qualcun’altro, non era uno
straniero, non era un rifugiato. Degli studenti di 15 anni si saranno
identificati con lui, delle madri avranno avuto paura, piangendo questo
corpo, di piangere il proprio figlio, le voci di regime lo vorrebbero
santificare come un eroe nazionale.

Il corpo del ragazzo aveva un
significato, la sua vita doveva ancora essere vissuta, l’interruzione di
questa vita è stato un attacco contro la sfera sociale ed è per questo
che il lutto per Alexis è possibile, anzi imperativo.
Quel proiettile ha perforato la comunità nella quale le rivoltose e i
rivoltosi hanno smesso di identificarsi, come non ci si identificava più
Alexis, ma molti tra noi hanno il privilegio di farne parte dato che gli
altri ci riconoscono come tali.

 

La storia di Alexis sarà riscritta
partendo dalla sua fine: era un bravo ragazzo, hanno detto. La rivolta,
che non si poteva prevedere, è stata resa possibile dalle spaccature che si
sono create all’interno di una società che decide quali corpi hanno
un’importanza in seno alla rete sociale di relazioni di potere.

La
rivolta, questo inno alla non-normalità, è un prodotto della normalità,
essa è la vendetta per i ‘nostri propri’ corpi che sono stati soppressi,
per il nostro proprio corpo sociale. Questa pallottola non ha colpito
solo Alexis, ma la società intera. È stata una ferita per ogni borghese
democratico che si augura che lo Stato e le sue istituzioni perseguano
la sicurezza dei cittadini, la propria sicurezza. È stata una
dichiarazione di guerra da parte dello Stato nei confronti della
società. Il contratto è stato rotto, non ci sono più le basi per il
consenso.

L’atto politico e morale della reistenza è divenuto possibile,
comprensibile, giusto, visibile dal momento che essa è competenza di
criteri e di termini della classe simbolica dominante che trattiene il
tessuto sociale.

Questo punto di partenza non annulla il fatto che la rivolta sia nel suo
pieno diritto d’essere. D’altronde il linguaggio del il potere, che
attribuisce un nome, una forma e un senso a tutte le cose, stabilisce e
delimita anche i campi dei significati da dove si sono attinte le
categorie sociali al fine di regolamentare le relazioni sociali
gerarchizzate. Questo potere, scegliendo bene le parole, ha ostracizzato
alcune categorie di quella comunità, le ‘persone travisate’.

Esso ha
cercato così di relegarli in un margine per mostrare fin dove fosse il
limite concesso della disobbedienza. Resistete, sembrava voler dire, ma
non in questo modo, perchè così è pericoloso, noi vi abbiamo avvisati.
Quello che la legittimazione sociale che si è riscontrata all’inizio di
questo percorso ci dice chiaramente, a nostro parere, è che sia che ci
si trovi dentro il potere, sia che si tratti di creazioni proprie, si è
comunque dentro di lui e contro di lui, si è quello che si fa per
cambiare l’esistente, perchè questa congiuntura storica può essere
plasmata dai contenuti che noi scegliamo di metterci e non dai
significati che avrebbero potuto investirla e dei quali essa saprebbe
facilmente liberarsi in una notte.

Ed essa non può attraversare intatta il limite tra la sottomissione e
l’azione autonoma, perchè se la rivolta deve mobilitare la sua
mascolinità per lottare contro gli sbirri, nello stesso tempo la deve
contestare. Perchè è esattamente il potere con il quale lotta contro gli
sbirri. E questa ambivalenza di sentimenti al cuore della nostra
soggettività, quasta dicotomia o ci farà vacillare, compromettendoci,
oppure saremo noi a farla vacillare.

Nella scelta sta la nostra statura
morale che si svolge al margine del rumore della rivolta, con noi e
attorno a noi, durante le serate tranquille in cui ci si domanda: “cosa
sta accadendo adesso?”, “Cos’è che non ha funzionato al punto che adesso
si sente solo silenzio?”

 

Niente esiste senza il senso che gli si attribuisce. Le strategie di
resistenza possono diventare delle strategie di potere, il caos può
ristrutturare le relazioni di potere, se mentre si lotta contro il mondo
non si lotta anche con la stessa convinzione contro le nostre
personalità, che a questo mondo non sono estranee perchè in esso si sono
formate, in seno alla rete di legami morali e politici dove ha luogo il
nostro essere complici, se si costruisce un macho che diventa folle e
ingarbugliato dalle ‘emozioni’, se ci si fossilizza in posizioni che
rischiano di diventare una nuova forma di potere

 

Ragazze in rivolta

Up against the wall motherfuckers! Siamo venuti per cio che e’ nostro…

Up against the wall motherfuckers! Siamo venuti per cio che e' nostro...

Lunedi 15 Dicembre 2008. In questi giorni di odio, lo Spettacolo – come
relazione di potere, come relazione che forgia la mente di oggetti e di
corpi – e' messo a confronto con un contro-potere diffuso che
deterritorializza le impressioni, permettenendole di sfuggire alla
tirannia dell'immagine e di trovare la strada nel reame dei sensi. I
sensi sono sempre carichi di una tensione antagonista (sono sempre volti
contro qualcosa) ma al momento attuale si stanno polarizzando su
posizioni sempre piu' intelligenti e radicali.

Contro la caricatura supposta pacifica dei media borghesi (“la violenza
non e' accettabile mai, dovunque”), possiamo soltanto ridere
sguaiatamente:
la loro legge, la legge degli spiriti gentili e del consenso, del
dialogo e dell'armonia non e' nient altro che un ben congegnato piacere
bestiale: un massacro promesso. Il regime democratico nella sua facciata
pacifica non ammazza un Alex tutti i giorni, per la precisione perche'
ne uccide a migliaia di Ahmets,Fatimas,JorJes,Jin Tiaos e Benajirs:
perche' assassina sistematicamente, strutturalmente e senza rimorsi
l'insieme del Terzo Mondo, il proletariato globale.
E' in questa maniera, attraverso questa quiete carneficina quotidiana,
che e' nata l'idea di liberta':
liberta' non come un bene panico, non come un diritto naturale per
tutti, ma come il grido di guerra dei dannati, come premessa di guerra
civile.

La storia dell'ordine legale e della classe borghese ci strizza il
cervello con un idea di un progresso dell'umanita' graduale e stabile in
cui la violenza rimane l'orfana eccezione, proveniente dall'ambiente
degradato del sottosviluppo: economico, emozionale e culturale.
Nonostante cio' tutti noi, schiacchiati tra i banchi di scuola, dietro
uffici, nelle fabbriche, sappiamo troppo bene che la storia non e' altro
che una successione di atti bestiali travisati in un morboso sistema di
regole. I cardinali della normalita' piangono la violazione della legge
del proiettile del porco Korkoneas (il poliziotto assassino). Ma chi non
sa che la forza della legge e' semplicemente la forza del potere?
Che e' la legge stessa a chiedere che violenza sia esercitata sopra
altra violenza? La legge e' il vuoto, da una sorte ad una piu' triste
sorte; non possiede significato alcuno, ne' si prefigge nulla al di
fuori della codifica del potere dell'autorita'.

Allo stesso momento, la dialettica della sinistra prova a codificare il
conflitto, la battaglia e la guerra con la logica della sintesi degli
opposti. In questa maniera prova a costruire un ordine; una condizione
pacificata in cui tutto va al proprio posto. Tuttavia, il destino del
conflitto non e' sintesi – come il destino della guerra non e' la pace –
L'insurrezione sociale comprende la concentrazione e l'esplosione   di
migliaia di negazioni, ma non contiene neppure in una singola cellula,
in nessuno dei suoi momenti la propria negazione, la propria fine.
La dolcezza del loro compromesso gocciola sangue.
La fine. Questa arriva, con il suo carico di pesantezza, desolante,come
una salda sicurezza per le istituzioni della normalizzazione sociale,
per la sinistra che promette il diritto di voto a 16 anni, il disarmo
ma, comunque, mantenimento delle forze di polizia, lo stato
assistenziale ecc. Quelli, in altre parole, che cercano di capitalizzare
conquiste politiche, sulla pellaccia degli altri.

L'anti violenza sociale non puo' essere ritenuta responsabile per cio'
che non assume:
di essere distruttiva da capo a fine. Se le lotte dei tempi moderni
hanno qualcosa da insegnarci, non e' la loro triste adesione al soggetto
(classe, partito, gruppo) ma piuttosto il processo sistematicamente
anti-dialettico: l'atto della distruzione non necessariamente porta con
se la dimensione della creazione. In altre parole,
la distruzione del vecchio mondo e la creazione di uno nuovo sono due
processi distinti, ma continui.

La questione e' allora quali metodi di attacco all'esistente possono
essere sviluppati in momenti e punti differenti dell'insurrezione. La
scelta dei metodi non puo' essere conservativa, ma volta al
miglioramento in termini qualitativi. Gli attacchi alle stazioni di
polizia, gli scontri e i blocchi stradali, le barricate e le battaglie
di strada ora costituiscono un fenomeno quotidiano socializzato nelle
metropoli e oltre. Hanno contribuito a una deregolamentazione parziale
del cerchio di produzione e consumo.
Ma ancora, c'e' alla base un'inquadramento parziale del nemico; diretto
e ovvio per tutti, tuttavia il pensiero rimane incatenato all'unica
dimensione di cui si vive lo scontro contro le relazioni sociali del
Dominio.

Comunque, il processo di produzione e circolazione dei beni, in altre
parole, la relazione-capitale, e' soltanto indirettamente colpita dalla
mobilitazione. Uno spettro si aggira per le citta' in fiamme: lo
sciopero generale, selvaggio, senza fine.

La crisi globale del capitale ha inibito ai padroni  la loro risposta
piu' dinamica,  estorta dall'insurrezione: “Vi offriamo tutto, per
sempre, mentre quello che lorsignori possono offrire e' un presente
incerto”. Con la valanga di fallimenti in cascata di una ditta dopo
l'altra, il capitalismo e lo stato non sono piu' nella posizione di
offrire qualcosa di diverso da giorni peggiori all'orizzonte, di dover
tirare la cinghia, la sospensione delle pensioni, tagli al sistema
assistenziale, eliminazione dell'educazione libera. Al contrario, in 7
giorni gli insorgenti hanno provato nella pratica quello che possono
fare: trasformare la citta' in un campo di battaglia, creare enclavi di
comuni attraverso il tessuto sociale, abbandonare l'individualismo e la
sicurezza patetica, cercando la ricomposizione di forze collettive e la
distruzione totale di questo sistema di morte. 

Finalmente di fronte a questa congiuntura storica di crisi, rabbia e
smantellamento delle istituzioni, l'unica cosa che possa convertire la
deregolamentazione sistematica in una rivoluzione sociale e' il rifiuto
totale del lavoro.
Quando la lotta di strada avverra' in quartieri resi bui dallo sciopero
della compagnia elettrica; quando si lottera' in mezzo a tonnellate di
spazzatura, quando i tram bloccheranno le strade, la polizia, quando
l'insegnante in sciopero accendera' il cocktail molotov ad un suo alunno
in rivolta, allora finalmente potremo dire:
 
Ruffiani, la vostra societa'  ha i giorni contati; abbiamo messo sulla
bilancia le sue gioie e le sue giustizie e le abbiamo trovate troppo
scarse”. Questa, oggi, non e' piu' semplice fantasia ma una possibilita'
concreta nelle mani di tutti: l'abilita' ad agire concretamente,
l'abilita' di assaltare il cielo.

Se l'estensione del conflitto nella sfera della produzione-circolazione,
con sabotaggi e scioperi selvaggi sembrasse prematura, potrebbe essere
che non ci stiamo rendendo conto con quale velocita' il potere si
decomponga, con che velocita' pratiche di confronto e forme di
organizzazione di contro-potere si diffondano nel tessuto sociale. Dagli
studenti delle scuole superiori che assaltano stazioni della polizia a
pietrate, a impiegati del comune e abitanti che occupano le sale del
comune. La rivoluzione non avra' preghiere, e pieta' per le condizioni
storiche.

Avviene cogliendo qualsiasi opportunita' insurrezionale in qualsiasi
ambito sociale. Trasformando ogni riluttante gesto di condanna degli
sbirri in un colpo ben assestato alle fondamenta di questo sistema.

Via gli sbirri!

14/12/2008 Iniziativa dall'occupazione della Athens School of
Economics and Business

segue il testo originale, in inglese

Up against the wall motherfuckers! We’ve come for what’s ours…

Monday, December 15, 2008 In these days of rage, spectacle as a
power-relation, as a relation that imprints memory onto objects and
bodies, is faced with a diffuse counter-power which deterritorialises
impressions allowing them to wonder away from the tyranny of the image
and into the field of the senses. Senses are always felt
antagonistically (they are always acted against something) – but under
the current conditions they are driven towards an increasingly acute and
radical polarisation.

Against the supposedly peaceful caricatures of bourgeois media
(“violence is unacceptable always, everywhere”), we can only cachinnate:
their rule, the rule of gentle spirits and consent, of dialogue and
harmony is nothing but a well calculated pleasure in beastliness: a
promised carnage. The democratic regime in its peaceful façade doesn’t
kill an Alex every day, precisely because it kills thousands of Ahmets,
Fatimas, JorJes, Jin Tiaos and Benajirs: because it assassinates
systematically, structurally and without remorse the entirety of the
third world, that is the global proletariat.

It is in this way, through
this calm everyday slaughter, that the idea of freedom is born: freedom
not as a supposedly panhuman good, nor as a natural right for all, but
as the war cry of the damned, as the premise of civil war.

The history of the legal order and the bourgeois class brainwashes us
with an image of gradual and stable progress of humanity within which
violence stands as a sorry exception stemming from the economically,
emotionally and culturally underdeveloped. Yet all of us who have been
crushed between school desks, behind offices, in factories, know only
too well that history is nothing but a succession of bestial acts
installed upon a morbid system of rules. The cardinals of normality weep
for the law that was violated from the bullet of the pig Korkoneas (the
killer cop). But who doesn’t know that the force of the law is merely
the force of the powerful? That it is law itself that allows for
violence to be exercised on violence? The law is void from end to bitter
end; it contains no meaning, no target other than the coded power of
imposition.

At the same time, the dialectic of the left tries to codify conflict,
battle and war, with the logic of the synthesis of opposites. In this
way it constructs an order; a pacified condition within which everything
has its proper little place. Yet, the destiny of conflict is not
synthesis – as the destiny of war is not peace. Social insurrection
comprises the condensation and explosion of thousands of negations, yet
it does not contain even in a single one of its atoms, nor in a single
one of its moments its own negation, its own end. This always comes
heavy and gloomy like a certainty from the institutions of mediation and
normalisation, from the left promising voting rights at 16, disarmament
but preservation of the pigs, a welfare state, etc. Those, in other
words, who wish to capitalise political gains upon the wounds of others.
The sweetness of their compromise drips with blood.
Social anti-violence cannot be held accountable for what it does not

assume: it is destructive from end to end. If the struggles of modernity
have anything to teach us, it is not their sad adhesion upon the subject
(class, party, group) but their systematic anti-dialectical process: the
act of destruction does not necessarily ought to carry a dimension of
creation. In other words, the destruction of the old world and the
creation of a new comprise two discrete but continuous processes.

The
issue then is which methods of destruction of the given can be developed
in different points and moments of the insurrection. Which methods
cannot only preserve the level and the extent of the insurrection, but
contribute to its qualitative upgrading. The attacks on police stations,
the clashes and roadblocks, the barricades and street battles now
comprise an everyday and socialised phenomenon in the metropolis and
beyond. And they have contributed to a partial deregulation of the
circle of production and consumption. And yet, they still comprise in a
partial targeting of the enemy; direct and obvious to all, yet entrapped
in one and only dimension of the attack against dominant social
relations. However, the process of production and circulation of goods
in itself, in other words, the capital-relation, is only indirectly hit
by the mobilisations. A spectre hovers over the city torched: the
indefinite wild general strike.
The global capitalist crisis has denied the bosses their most dynamic,
most extorting response to the insurrection: “We offer you everything,
for ever, while all they can offer is an uncertain present”. With one
firm collapsing after the other, capitalism and its state are no longer
in a position to offer anything other than worse days to come, tightened
financial conditions, sacks, suspension of pensions, welfare cuts, crush
of free education. Contrarily, in just seven days, the insurgents have
proved in practice what they can do: to turn the city into a
battlefield, to create enclaves of communes across the urban fabric, to
abandon individuality and their pathetic security, seeking the
composition of their collective power and the total destruction of this
murderous system.

At this historical conjuncture of crisis, rage and the dismissal of
institutions at which we finally stand, the only thing that can convert
the systemic deregulation into a social revolution is the total
rejection of work. When street fighting will be taking place in streets
dark from the strike of the Electricity Company; when clashes will be
taking place amidst tons of uncollected rubbish, when trolley-buses will
be closing streets, blocking off the cops, when the striking teacher
will be lighting up his revolted pupil’s molotov cocktail, then we will
be finally able to say: “Ruffians, the days of your society are
numbered; we weighted its joys and its justices and we found them all
too short”. This, today, is no longer a mere fantasy but a concrete
ability in everyone’s hand: the ability to act concretely on the
concrete. The ability to charge the skies.

If all of these, namely the extension of the conflict into the sphere of
production-circulation, with sabotages and wild strikes seem premature,
it might just be because we haven’t quite realised how fast does power
decomposes, how fast confrontational practices and counter-power forms
of organising are socially diffused: from high school students pelting
police stations with stones, to municipal employees and neighbours
occupying town halls. The revolution does not take place with prayers
towards and piety for historical conditions. It occurs by seizing
whatever opportunity of insurrection in every aspect of the social; by
transforming every reluctant gesture of condemnation of the cops into a
definite strike to the foundations of this system.

Off the pigs!

14/12/2008 Initiative from the occupation of the Athens School of
Economics and Business

Questi giorni sono anche nostri

testo
distribuito nel picchetto studentesco di fonte ad una caserma da
alcuni albanesi del centro immigrati di Atene il 12 dicembre 2008

Questi giorni
sono anche nostri.

Da quando
hanno assassinato Alexis Grigoropoulos stiamo vivendo in una
condizione di agitazione senza precedenti, un flusso di rabbia che
non sembra finire. Coloro che stanno guidando questa sollevazione,
sembrano essere gli studenti – che con una passione smisurata e
spontanea han capovolto la situazione.

Non si puo’
fermare qualcosa che non ha controllo, qualcosa che e’ organizzato
spontaneamente in termini che non si possono comprendere. Questa e’ la
bellezza di questa sollevazione. Gli studenti liceali stan facendo la
storia e lasciamo pure che sia qualcun altro a classificarli
ideologicamente. Le strade, la passione, gli appartengono.

Dentro
quest’ampia mobilitazione, con le manifestazioni studentesche come
motore, c’e’ una partecipazione di massa della seconda generazione di
immigrati e anche di molti rifugiati. I rifugiati
scendono per strada in piccoli gruppi, con un’organizzazione
limitata, con la spontaneita’ e l’impeto che li caratterizzano. In questo
momento, sono il settore piu’ attivo degli stranieri che vivono in
Grecia. In qualche modo, loro hanno da perdere molto poco.


I figli degli
immigrati si mobilitano in massa e dinamicamente, principalmente con
le azioni dei liceali e degli universitari, ma anche attraverso le
organizzazioni di sinistra ed estrema sinistra. Sono la parte piu’
integra delle comunita’ immigrate: loro, a differenza dei loro
genitori, che sono arrivati a testa bassa, come se stessero
supplicando per un tozzo di pane, sono parte della societa’ greca,
visto che non hanno mai vissuto in nessun altra.
Non implorano
nulla, vogliono solo essere uguali ai loro compagni greci.
Uguali nei
diritti, nelle strade, nei propri sogni.

Per noi,
immigrati organizzati, questo e’ stato un secondo Novembre francese
2005. Non abbiamo piu’ avuto dubbi quando la rabbia delle gente
scorreva per le strade diretta in ogni luogo, nonostante le lotte che
abbiamo portato avanti in tutti questi anni mai abbiamo ottenuto una
risposta cosi’ grande.
E’ tempo che
parlino le strade, il grido soffocato e’ per i 18 anni di violenza,
repressione, sfruttamento e umiliazione.

Questi giorni
sono anche nostri.
Sono
per le centinaia di immigrati che sono stati assassinati lungo le
frontiere, nei commissariati, nei loro luoghi di lavoro. Sono per
quelli assassinati dalla polizia a da "cittadini intimoriti".
Sono per gli ammazzati per aver tentato di passare i confini, quelli
che lavoravano fino a crepare, quelli che non hanno abbassato la
testa e quelli morti per niente. Sono per Gramos Palusi, Luan
Bertelina, Edison Yahai, Tony
Onuoha,
Abdurahim Edriz, Modaser Mohamed Ashtraf e tanti altri che non
abbiamo dimenticato.

Questi
giorni sono per la violenza quotidiana e impunita della polizia, che
rimane senza risposta. Sono per le umiliazioni alle frontiere, nei
centri di detenzione, che continuano senza posa. Sono per le
ingiustizie dei tribunali greci, gli immigrati e i clandestini
ingiustamente detenuti, per la giustizia che ci han negato. Anche
oggi, in questi giorni di rivolta, gli immigrati pagano un prezzo
molto alto – con gli attacchi dell’estrema destra e della polizia,
con deportazioni e detenzioni che le cristiane corti greche
elargiscono con amore a noi, gli infedeli.

Questi
giorni sono per lo sfruttamento continuo in questi 18 anni. Sono per
le lotte non dimenticate: nelle strade di Volos, per i lavori
olimpici, la gente di Amaliada. Sono per il sudore e il sangue dei
nostri padri, per il lavoro in nero, per i turni infiniti. Sono per
le tasse che paghiamo e mai vengono riconosciute.

Sono
per i permessi di soggiorno che inseguiremo per tutta la nostra vita
come biglietti della lotteria.

Questi
giorni sono per il prezzo che dobbiamo pagare semplicemente per
esistere, per respirare.
Son per tutte quelle volte che stringiamo i
denti, per gli insulti che riceviamo, i torti che ci attribuiscono.
Son per tutte le volte che non reagiamo anche se abbiamo tutte le
ragioni del mondo per farlo.
Sono per tutte quelle volte in cui
reagiamo e pero’ rimaniamo soli perche’ la nostra morte e la nostra
rabbia non si incanalano in binari prestabiliti, non genera voti, non
produce notizie o articoli vendibili.

Questi
giorni appartengono a tutti i marginali, gli esclusi, le persone coi
nomi difficili e le storie sconosciute. Appartengono a quelli che
sono morti nel Mar Egeo e nel fiume Evros, agli ammazzati nelle
strade centrali di Atene, e appartiene ai "drogati" di
Exarchia: ai bambini di via Mesollogiu, ai non integrati, agli
incontrollabili.
Grazie
ad Alexis, questi giorni appartengono a tutti.

18
anni di rabbia silenziosa sono troppi.
Scendiamo
in strada, per la solidarieta’ e la dignita’!!
Non
abbiamo dimenticato, non perdoneremo – questi giorni appartengono
anche a te!
Luan,
Tony, Mohamed, Alexis…

immigrati
albanesi

Intervista ad alcuni anarchici greci sulle sommosse in atto ed altro

Risposte di alcuni compagni anarchici greci
a domande di informa-azione.info su aspetti delle sommosse di questi
giorni e sul contesto sociale, politico e urbanistico in cui bruciano.
[S. e P. si trovano in Grecia, mentre O. a Londra]

Traduzione dal greco all’inglese a cura di directaction greece

I-A: Qualche parola sulla brutalità della polizia in Grecia
O.: A differenza della maggior parte degli stati occidentali, la
tattica della polizia greca non è di arrestare le persone, multarle
ecc., ma principalmente di intimidirle e “punirle” fisicamente. La
repressione poliziesca viene così esercitata su un piano quotidiano, ad
esempio con il pretesto di controllare i documenti per le strade,
soprattutto contro giovani con sembianze “alternative”, poveri e
migranti. Esistono diverse divisioni di polizia, la più nota è quella
delle “guardie speciali”, idioti armati e completamente decerebrati;
formata da 3-4 anni si è già resa responsabile della menomazione e
dell’uccisione di non poche persone (come Iraklis Maragkakis, un
giovane autista di Creta morto con un proiettile in testa per non
essersi fermato a un controllo). Ci sono i “gruppi d’arresto”, che
compiono fermi con mosse da arti marziali durante le manifestazioni
violente (solo ad Atene), e molti gruppi di polizia-militare (come
l’EKAM, spesso mandata a Creta quando i business locali, come la
coltivazione di cannabis, interferiscono con i piani del governo), e le
“guardie di frontiera” responsabili della morte di centinaia di
migranti che cercano di valicare il confine. Per quanto riguarda gli
ambienti politici c’è la “sicurezza di Stato” che identifica, molesta e
crea i profili degli attivisti, occupandosi anche degli arresti durante
le manifestazioni. C’è la “sicurezza dell’ordine costituito”, un
gradino sopra i precitati dementi, che tiene nel mirino i circuiti
anarchici e più in generale dell’azione diretta, ma anche la
criminalità organizzata e il narcotraffico. Infine c’è l’unità
antiterrorismo che fa all’incirca le stesse cose, ma è in cima alla
gerarchia.
Nella percezione comune, le stazioni di polizia rappresentano luoghi di
tortura: spesso appaiono, anche su youtube, video di sbirri che
riprendono le sofferenze delle loro vittime. Durante i cortei o
l’attivismo contro la polizia, non puntano a molti arresti,
preferiscono caricare qualche persona di molti reati pesanti o
mazzolarla per bene.
Infine c’è una lunga lista di individui uccisi dalla polizia per motivi
politici (anarchici, manifestanti), e restando gli agenti normalmente
impuniti, si è venuta a creare una mentalità, un’attitudine da “Rambo”.
Ancora in questi giorni di scontri, sbirri antisommossa puntavano i
loro indici contro i ragazzini dicendo “dov’è il vostro piccolo Alexis,
fighette? Uccideremo ognuno di voi fottuti”.

I-A: Qualche parola su Exarchia
O.: Exarchia è un’area nel centro di Atene dove vennero fondate le
prime università, e che quindi attirò molti studenti, intellettuali,
artisti, ecc.. La maggior parte dei residenti (studenti greci,
immigrati, gestori di negozietti e piccoli bar) ha un reddito basso.
Attorno sorgono aree come Kolonaki, dove c’è qualche locale frequentato
dai ricchi, e si mantiene una sorta di solidarietà da vicinato,
iniziative di pulizia delle strade, assemblee aperte, una sorta di
auto-organizzazione. Grazie alla presenza di studenti, hanno aperto
molte librerie, centri e squat anarchici e di sinistra. Tra le altre
cose, questo senso di libertà ha offerto rifugio a molti tossici che
vanno a sfasciarsi nella piazza di Exarchia; un’abitudine che in
passato ha causato scontri tra anarchici e spacciatori, e che ha
portato anche a scontri con i tossici. Gira voce che la polizia cacci i
tossici dalle altre aree per spingerli verso Exarchia, al fine di
convincere gli abitanti a volere maggiore sorveglianza. E’ un luogo in
cui gli scontri con la polizia sono all’ordine del giorno, grazie anche
alla protezione del vicinato e dei campus universitari che offrono
asilo. Anche l’urbanistica ha il suo ruolo, con vicoli, stradine,
pavimentazione di ciottoli, la vicina collina boscosa di Strefis. Tutto
ciò porta a una morbosa attenzione della polizia per quest’area:
pattugliamenti quotidiani, squadre antisommossa piazzate attorno
Exarchia (definite dagli abitanti come i romani e il villaggio di
Asterix), continui fermi e tensioni tra gente del luogo e polizia. Gli
sforzi degli sbirri per dominare il territorio hanno portato alla morte
di Alexis e simili episodi. Il poliziotto assassino viene descritto
(ndt. dai media) come uno sbirro rabbioso, che litiga con i superiori
perché non lo lasciano “mostrare a questi piccoli codardi anarchici di
cosa è fatto”.

I-A: I rivoltosi sono un gruppo politicamente eterogeneo?
P. e S.: All’inizio sono scesi in strada gli anarchici con le loro
“alleanze politiche” (ultras del calcio, pochi migranti, qualche
giovane “alternativo”). Quindi le sinistre: il partito comunista ha
condannato le violenze ma mantenuto un atteggiamento diplomatico
dispiacendosi per la morte del ragazzo, il SYN/Syriza ha invece offerto
rifugio ai rivoltosi a patto che prima si scoprissero i volti.
Posizioni tipiche di queste due principali tensioni della sinistra
greca. Il partito comunista cerca sempre di sabotare le lotte che non
riesce a controllare, ma tenta di ricavarne profitto al momento delle
elezioni; il SYN cerca di inglobare ogni movimento mutilandone le
componenti radicali.
Nelle prime 24 ore gli anarchici hanno organizzato manifestazioni
aggressive e attacchi ovunque vi fosse la loro presenza, diciamo in una
trentina di località in giro per la Grecia. Alcune componenti della
sinistra hanno partecipato sia alle manifestazioni che agli scontri.
Non era mai successo prima.
Il giorno successivo si sono uniti studenti universitari e ragazzi
delle scuole. Molti ultras/hooligans delle squadre di calcio. Quindi
molti migranti e figli di migranti. A questo punto è scoppiato il caos.
Gente di tutte le età, dai 12 ai 70, ha preso parte alle rivolte.
Persone che non avresti mai immaginato di trovare lì in mezzo. “Giovani
alla moda”, “rispettabili padri di famiglia”, “donne anziane”, chiunque
normalmente etichettato come “gente comune”… ben oltre la minoranza
anarchica. Persone che di certo non sapevano gestirsi la situazione,
alcuni neanche la capivano. Molti di loro criticavano il saccheggio
come pratica che “getta cattiva luce sugli anarchici”… guardano troppa
televisione.

I-A: Sembra che una risposta alla brutalità della polizia abbia
generato qualcosa di molto più esteso. Un punto di vista anarchico sui
nuovi “contenuti” della rivolta in atto?

S.: Penso che ci si trovi di fronte a una vera sollevazione sociale. E’
abbastanza simile a quanto avvenuto in Francia (ndt. banlieues) ma
secondo me si sviluppa meglio, perché i poveri non bruciano solo i
propri quartieri, ma arrivano al centro cittadino e attaccano qualunque
cosa rappresenti l’oppressione in ogni sua forma, non solo polizia e
banche. A Salonicco hanno attaccato una chiesa, ad Atene l’albero di
natale del sindaco, il ministero dell’educazione, il parlamento, nella
piccola isola di Ithaki hanno bruciato una scuola. E’ la ricompensa per
una vita sottratta, magari non improvvisamente e orribilmente come
quella di Alexis, ma lentamente, ogni giorno, vergognosamente.
Quello che provo a fare è supportare fisicamente le rivolte,
condividere ogni genere di conoscenza inerente gli scontri di strada
accumulata fin ora, sabotare ogni sforzo della sinistra di reprimere e
calunniare le sommosse (come il partito comunista) o usarle per i
propri piani parlamentari (socialdemocratici), e portare uno spirito di
auto-organizzazione della nostra forza, creare le nostre assemblee,
comunicazioni, squadre d’attacco e in generale liberarsi del mondo
capitalista, liberarsi della nostra necessità del capitalismo. Il
saccheggio ha rappresentato un buon punto di partenza, adesso dobbiamo
generalizzarlo.

I-A: La Sinistra greca, come sta provando a sfruttare e spegnere la rivolta?
P.: Mi riferirò esclusivamente al KKE (partito comunista) e al SYN
(socialdemocratici che hanno accorpato quasi tutti i piccoli
gruppuscoli); perché quello che è a sinistra dell’”estrema sinistra” è
per la prima volta attivo negli scontri di strada (dopo la guerra
civile la cultura greca della sinistra è basata sul vittimismo) con uno
spirito anti-ND (Nuova Democrazia – partito al governo).
Il KKE vede le recenti rivolte come un’espressione del risentimento
popolare causato da disoccupazione e carenza dei servizi pubblici, che
viene messa in cattiva luce dagli “anarchici incappucciati”, ovviamente
organizzati da A) il governo B) l’opposizione (PASOK, un partito in
scomparsa) C) gli americani D) gli alieni. Non è rilevante, quel che
conta è che qualunque cosa fuori dal Partito rappresenta il male.
Chiede alla popolazione di manifestare pacificamente e in modo
organizzato nel blocco del KKE, e prepararsi per la battaglia
elettorale!
A Corfu, 15 giovani del KKE si sono barricati dentro l’università per
evitare che i rivoltosi, braccati dagli sbirri, entrassero nell’ateneo;
sono arrivati addirittura a lanciargli bottiglie per provocarli! Sono
soliti fare questo genere di cose. In un caso precedente, avevano
picchiato alcuni anarchici per aver attaccato manifesti sopra i loro. A
quel punto 40 anarchici si erano radunati e avevano attaccato 70
comunisti riuniti dentro l’università. Dopodiché tutti i rappresentanti
di partito piagnucolarono davanti ai media denunciando il regno del
terrore anarchico, l’assenza di polizia, ecc…
Il SYN ha un ruolo più attivo nelle strade, mentre molti dei suoi
giovani elettori sono probabilmente tra i rivoltosi, quantomeno tra
coloro che tirano pietre e affrontano le linee di polizia. Il loro
presidente ha detto agli incappucciati che se si tolgono i
passamontagna, il SYN li proteggerà di fronte alla giustizia. Ciò
esprime le tattiche del partito: sabotare coloro che agiscono
individualmente per i propri motivi e portarli al partito per fare
battaglie in parlamento, in televisione o nei tribunali. Non voglio
falsificare o sminuire la rabbia di molti suoi elettori per
l’assassinio di un ragazzino da parte della polizia, ma credo che il
SYN conti molto su quanto sta avvenendo per accrescere il proprio
status politico, magari anche in un’alleanza governativa.
Al tempo delle prime manifestazioni si aveva la sensazione generale di
essere in questa cosa tutti insieme, visto che ogni tensione politica
si stava ancora riprendendo dagli scontri tra studenti e polizia dello
scorso anno, quando dopo varie botte le forze dell’ordine avevano
ripreso il controllo delle strade e ne seguì un anno di frequenti
violenze sbirresche e torture nelle centrali. Col passare dei giorni le
cose si fecero più chiare.
Ah, ci sono anche i sindacati: principalmente legati a PASOK, SYN,
forse qualcuno anche a Nuova Democrazia e il KKE che ha il proprio
fronte sindacale. Sono così venduti da aver cancellato lo sciopero
generale programmato da tempo, a causa di una richiesta del primo
ministro al fine di evitare disordini. A nessuno sembra interessare, ma
la mentalità dei sindacati è una presa in giro, un insulto per la
maggior parte della popolazione greca.

I-A: Abbiamo seguito l’ultima lotta dei prigionieri. Sapete
qualcosa delle loro reazioni alle attuali rivolte e alle azioni di
sabotaggio in solidarietà con la loro mobilitazione?

O.: Oggi, il giorno del funerale di Alexis, i prigionieri hanno
rifiutato il vitto in tutte le 22 carceri della Grecia. Migliaia di
loro (non siamo in grado di dire esattamente quanti) hanno quindi
espresso in questo modo il loro rispetto per un giovane combattente, e
la loro solidarietà per tutti gli arrestati negli scontri, più di 200
per saccheggio di negozi. Per quanto ne so, la maggior parte dei
prigionieri supporta pienamente le azioni solidali di sabotaggio fuori
dal carcere. Da discorsi con gente dentro, i compagni Polikarpos e
Vaggelis, da alcune pubblicazioni anarchiche con contributi di
prigionieri e da comunicazioni durante la recente lotta, erano
decisamente emozionati quando parlavano delle azioni esterne.

I-A: Le rivolte spesso non hanno percorsi stabiliti, qualche
volta smettono di bruciare (balieues francesi), qualche volta vengono
messe sotto il controllo di qualcuno, qualche volta un modello di
potere termina il proprio gioco. Obbiettivi personali e collettivi?

S.: Primo. Difendere le nostre vite, difendere la memoria dei nostri
compagni, difendere la nostra esistenza nelle strade e il nostro potere
su di esse. La lotta di classe non finisce quando usciamo dal nostro
posto di lavoro, nelle strade o in un bar alternativo o alla moda dove
continuiamo a essere merce, le nostre vite sono pura merce. La polizia
sottovaluta le nostre vite e arriva a distruggerle, quindi dobbiamo
subito darci da fare, e l’unico modo per farlo è liberarsi da qualunque
cosa ci trasformi in merce e dalla sua polizia.
Se tutto questo non diventa una rivoluzione, penso che quanto meno
dovremmo divertirci il più possibile in questo processo di
umanizzazione. Ah, e liberarci di un umanesimo buono a nulla.

I-A: Ci sono ancora banche in Grecia (ih ih ih)?
O.: Giusto oggi ho sentito una mia amica di Atene, sua sorella doveva
prelevare dei soldi dal bancomat… Ma nel centro di Atene non ce ne sono
più e sono dovuti andare in periferia per trovarne uno. La stessa
situazione in tutte le città principali…

I-A: Abbiamo saputo che c’è stato un tentativo di occupazione dell’ambasciata greca a Londra. Come è andata?
O.: Il giorno prima, su indymedia uk e Atene (bilingua), abbiamo
indetto un corteo davanti all’ufficio centrale della Olympic Airways.
Per l’ora della manifestazione (9 del mattino), meno di 20 compagni,
greci e non, occupavano l’ambasciata greca. La gente radunata per la
manifestazione, 25-30 persone (principalmente studenti greci che
lavorano in giro per l’Inghilterra), invece di marciare verso l’Olympic
come annunciato, hanno informato i presenti di quanto stava avvenendo e
si sono mossi verso l’ambasciata. Alla manifestazione c’erano sbirri in
borghese che fotografavano da lontano e un ragazzo è stato fermato da
una volante per un controllo antidroga. Li abbiamo circondati e
videoripresi mentre loro riprendevano noi… così sembra andare da queste
parti… Abbiamo preso la metropolitana senza mostrare bandiere e
striscioni, con un poliziotto in divisa a controllarci e forse altri in
borghese. Una volta raggiunta l’ambasciata, gli altri erano stati
buttati fuori dallo stabile e c’era un cordone di 15 poliziotti a
dividerci e una dozzina a circondarci. Le strade intorno all’ambasciata
erano state bloccate e arrivarono una ventina di volanti. Quindi si
aggiungono la Polizia Metropolitana, la Polizia Diplomatica, i
pompieri, le squadre da arresto, FIT (quelli che filmano le
manifestazioni) e l’unità antiterrorismo. I ragazzi avevano preso la
bandiera greca e innalzato quella nera e rossa; quando abbiamo capito
che non saremmo sicuramente riusciti a entrare abbiamo bruciato la
bandiera greca sul balcone dell’ambasciata. Alcuni sbirri ci puntavano
le armi. Quindi vediamo una decina di ragazzi greci arrivati dopo che
erano stati fermati a un angolo dove la strada era bloccata; io e altri
due ci siamo avvicinati per vedere cosa succedeva.
Gli sbirri dicevano che non potevano farli avvicinare perché era in
corso una manifestazione, loro rispondevano di essere parte della
manifestazione e che si erano allontanati per prendere un caffè.
Quando ci siamo avvicinati ulteriormente, siamo stati afferrati dalla
polizia e scagliati al di là della linea, un ragazzo buttato a terra e
colpito sulla schiena… “oops sembra che siate anche voi fuori dalla
manifestazione”. Solidarizzando con i lavoratori di un cantiere,
saliamo su un’impalcatura per vedere la situazione. I poliziotti
stavano attaccando i compagni dentro il cortile dell’ambasciata
(tecnicamente suolo greco ma invitati dall’ambasciatore) e ne
arrestavano due per “violenza verbale”. Fuori, gli sbirri (un
centinaio) spintonavano i manifestanti (una cinquantina) dividendoli in
piccoli gruppi. Dopo qualche ora, i compagni dentro l’area
dell’ambasciata comunicano che sarebbero usciti solo se la polizia si
fosse allontanata e li avesse lasciati andare via. Gli sbirri dicono
che li avrebbero lasciati stare se fossero usciti in modo pacifico, ma
appena iniziata la smobilitazione hanno colpito alcuni compagni e ne
hanno arrestati altri tre per minaccia dell’ordine pubblico.
Gli altri si sono uniti al blocco esterno e mossi fino a unirsi alla
quarantina di persone che non erano riuscite a superare il cordone.
Qualche spintone e pugno, quindi siamo riusciti ad allontanarci
attraverso strade “libere” che avevamo individuato in precedenza.

Siamo qui, siamo ovunque, siamo l’immagine del futuro

Se io non brucio
Se tu non bruci
Se noi non bruciamo
Come dal buio nascera’ la luce?
(Nazim Hikmet “Come Kerem”)

Con la paura tra i denti i cani rabbiosi urlano: tornate alla
normalita’, la festa dei folli e’ terminata. I filologi
dell’assimilazione hanno iniziato a diseporre le loro carezze
taglienti: “Siamo pronti a dimenticare, a comprendere le deviazioni dei
giorni precedenti, ma ora state buoni altrimenti porteremo i nostri
sociologi, i nostri antropologi, i nostri psichiatri! Come padri
comprensivi abbiamo assistito con sopportazione il vostro sfogo
sentimentale, ora osservate come appaiono vuoti i banchi di scuola, gli
uffici, le vetrine! E’ giunta l’ora del ritorno e chi rifiuta questo
sacro dovere verra’ attaccato, verra’ tarato socialmente,
psichiatrizzato. Questa e’ la richiesta che si aggira in citta’ :”Siete
ai vostri posti?”. La democrazia, l’armonia sociale, l’unita’ sociale e
tutti i grandi abbracci che puzzano di morte hanno gia’ teso le loro
sporche mani.

Il potere (dal governo ai genitori) ha lo scopo non solo di
reprimere la rivolta e la sua espansione, ma di creare un rapporto di
subordinazione, soggettivazione. Un rapporto che determina il vissuto,
cioe’ la vita politica, come una palottola di cooperazione, di
compromesso e di accettabilita’sociale. « La politica e’ la politica
del socialmente accettabile, tutto il resto e’ una guerriglia da
briganti, scontri, caos » : questa e’ la traduzione fedele di cio’ che
ci viene detto. I loro tentativi di negare la parte vitale di ogni
azione, di dividerci, di isolarci da cio’ che possiamo fare : non fare
di due cose una, ma rompere ancora ed ancora una cosa in due. I
mandarini dell’armonia, i baroni del silenzio – dell’ordine- e della
sicurezza ci richiedono di essere dialoganti. Questi trucchi pero’ sono
disperatamente vecchi e la loro miserabilita’ si vede nelle pancie dei
vecchi sindacalisti, negli occhi slavati dei mediatori che come uccelli
rapaci si aggirano sopra ogni rifiuto, sopra ogni passione per il
reale. Li abbiamo gia’ visti a maggio, a Los Angeles e a Brixton, li
vediamo in giro da decenni che leccano le ossa del Politecnico. Li
abbiamo visti pure ieri che invece di indire sciopero generale ad
oltranza, si sono inclinati di fronte alla legalita’ e hanno annullato
la manifestazione. Perche’ sanno molto bene che la strada verso
l’espandersi della rivolta passa per il suo spostamento nel campo di
produzione – passa per l’occupazione dei mezzi di produzione del mondo
che ci distrugge.

Domani inizia una giornata in cui niente e’ sicuro. E cosa potrebbe
essere piu’ liberatorio dopo tanti anni di sicurezze ? Una pallottola
e’ stata capace ad interrompere la sequenza meccanica di tante giornate
uguali a se’ stesse. L’assassinio di un quindicenne e’ stato un momento
che ha redato uno spostamento capace a portare tutto sotto sopra. Lo
spostamento dal compimento di una ulteriore giornata al punto tale che
tante persone nello stesso momento hanno pensato: Basta, le cose devono
cambiare e siamo proprio noi che le dobbiamo cambiare . E la vendetta
per la morte di Alexi si e’ trasformata nella vendetta per ogni nostra
giornata che siamo stati costretti a svegliarci in questo mondo. E cio’
che appariva cosi’ difficile si e’ dimostrato cosi’ semplice.

Questo e’ qualcosa che e’ successo, qualcosa che possediamo. Se
qualcosa ci spaventa e’ il ritorno alla normalita’. Perche’ nelle
strade distrutte ed espropriate delle nostre lucenti citta’ non vediamo
solo gli ovvi segnali della nostra rabbia, ma la possibilita’ di
cominciare a vivere. Ormai non abbiamo altro che la possibilita’ di
stabilirci sopra tale possibilita’ trasformandola in vissuto:
Atterrando la nostra creativita’ nel suolo della quotidianita’, la
nostra forza a dare sostanza ai nostri desideri, la forza non di
osservare, ma costruire il reale. Questo e’ il nostro spazio vitale.
Tutto il resto e’ morte.

Chi vuole capire, capira’. Ora e’ il momento di rompere le gabbie
invisibili che costringono ognuno di noi nelle nostre piccole e misere
vite. E cio’ non significa solamente o necessariamente attaccare
stazioni di polizia o bruciare negozi e banche. Il momento in cui
qualcuno abbandona la sua poltrona e la passiva osservazione della sua
stessa vita ed esce per strada per parlare ed ascoltare, lasciando
spontaneamente il privato, comprende, nell’ambito dei rapporti sociali,
la forza destabilizzante di una bomba atomica. Questo proprio perche’
la (fino ad ora) stabilizzazione di ognuno nel suo microcosmo e’ legata
alle forze attrattive della persona. Quelle forze che permettono al
mondo (capitalista) di andare avanti. Questo e’ il dilemma : stare
dalla parte dei rivoltosi o stare da soli. Questo e’ uno dei rari
momenti in cui un dilemma e’ cosi’ assoluto e contemporaneamente reale.

11.12.2008

Lo Stato uccide! – Comunicato del Politecnico di Atene

LO STATO UCCIDE!

Sabato 6 Dicembre 2008, Alexandros Grigoropoulos, un compagno
15enne, è stato ucciso a sangue freddo con un proiettole nel petto da
un agente nella zona di Exarchia. Contrariamente alle affremazioni dei
poliziotti e dei giornalisti, complici del delitto, questo non è stato
un “incidente isolato”, ma un’esplosione dello Stato di repressione che
sistematicamente e in maniera organizzata colpisce coloro che
resistono, coloro che si ribellano, gli anarchici e gli antiautoritari.
Questo è il picco del terrorismo di Stato, espresso con la promozione
del ruolo dei meccanismi repressivi, il loro continuo armamento, il
crescente livello di violenza utilizzato, con la dottrina della
“tolleranza zero”, con la viscida propaganda dei media che criminalizza
coloro che stanno lottando contro l’autorità.

Sono queste condizioni a preparare il terreno per l’intensificazione
della repressione, nel tentativo di guadagnare in anticipo il consenso
popolare e rifornendo di armi lo Stato assassino in uniforme! La
violenza letale contro le persone nella lotta sociale e di classe è
volta alla sottomissione di tutti, serve da punizione esemplare,
significa la diffusione della paura. E’ parte del più ampio attacco di
Stato e padroni contro l’intera società, al fine di imporre più rigide
condizioni di sfruttamento e oppressione, per consolidare il controllo
e la repressione. Dalla scuola alle università, fino alle segrete
prigioni della schiavitù con i centinaia di lavoratori morti nei
cosiddetti “incidenti sul lavoro” e la povertà che abbraccia una larga
fascia della popolazione… Dai campi minati ai confini, i pogrom e gli
omicidi di migranti e rifugiati ai numerosi “suicidi” nelle carceri e
nelle stazioni di polizia… dagli “spari accidentali” nei posti di
blocco della polizia alla violenta repressione delle resistenze locali,
la Democrazia sta mostrandi i suoi denti!

In un primo momento dopo l’uccisione di Alexandros, manifestazioni
spontanee e riots sono esplsi nel centro di Atene, il Politecnico, le
Facoltà di Economia e Diritto sono state occupate e attacchi contro i
simboli di Stato e Capitalismos hanno avuto luogo in molti quartieri
periferici e nel centro città. Manifestazioni, attacchi e scontri sono
scoppiati in Tessalonica, a Patrasso, Volos, Chania e Heraklion
(Crete), a Giannena, Komotini e molte altre città. Ad Atene, in
Patission Street – fuori dal Politecnico e dalla Facoltà di Economia –
gli scontri sono continuati tutta la notte. Fuori dal Politecnico la
polizia ha fatto uso di proiettili di plastica Sabato 7 Dicembre,
centinaia di persone hanno manifestato verso il quartier generale della
polizia ad Atene, attaccando la polizia. Scontri di tensione mai vista
si sono diffusi nelle strade del centro città, durati fino a notte
fonda. Molti manifestanti sono feriti ed alcuni sono stati arrestati.

Noi continuiamo l’occupazione del Politecnico, cominciata sabato
notte, creando uno spazio per tutte le persone che lottano e un altro
focus permanente della resistenza in città. Nelle barricate, nelle
occupazioni delle università, nelle manifestazioni e nel le assemblee
noi terremo viva la memoria di Alexandros, ma anche la memoria di
Michalis Kaltezas e di tutti i compagni uccisi dallo Stato, che hanno
dato forza alla lotta per un mondo senza padroni né schiavi, senza
polizia, armi, prigioni e confini. I proiettili degli assassini in
uniforme, l’arresto e le manganellate ai manifestanti, i gas chimici
lanciati dalle forze di polizia, non solo non riusciranno a imporci
paura e silenzio, ma diverranno la ragione per sollevarci contro il
terrorismo di Stato, il grido della lotta per la libertà, per
abbandonare la paura e incontrarci – ogni giorno sempre più – nelle
strade della rivolta.

Affinché la rabbia li inondi e li affoghi!

IL TERRORISMO DI STATO NON PASSERA’!

PER L’IMMEDIATO RILASCIO DI TUTTI GLI ARRESTATI NEGLI EVENTI DI SABATO 7 E DOMENICA 8 DICEMBRE

Esprimiamo la nostra solidarietà a tutti coloro che stanno occupando
le università, manifestando e scontrandosi con gli omicidi di Stato in
tutto il mondo.

L’occupazione del Politecnico – Atene